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Diario di bordo della seconda edizione del Festival Aut-Out-Aut
Proprio perché tutto è rappresentazione, e ogni rappresentazione è relazione, allora tutto ciò che è rappresentabile viene in qualche modo a raffigurarsi come relazione. Relazione è così l’essenza astratta di ogni cosa. (Giorgio Colli, Filosofia dell’espressione, Adelphi)
IL NOSTRO VIAGGIO
10 dicembre
PRIMA GIORNATA - 10 DICEMBRE 2024
Cagliari, Palazzo Siotto
La 2°edizione di Aut Out Aut è stata dedicata a Franz Kafka e ai personaggi di alcuni suoi racconti che hanno ispirato le performance teatrali e letterarie per tutta la durata del festival. Non ben tratteggiati nei loro contorni, offrono spunti interessanti per rivedere lo sguardo sull’altro, per rompere gli schemi sociali già dati del riconoscimento, che può concentrarsi sullo sguardo e sulle emozioni dell’incontro senza pregiudizi nel dover per forza giudicare chi non è come me, diverso e qualificarlo in categorie ben specifiche.
Nella letteratura kafkiana dei racconti, esiste un’attesa che si estende oltre il già dato e aiuta a ripercorrere i confini dell’essere vivente, anche non per forza umano (vedi La Tana, La Metamorfosi, etc.).
Proprio con il Ritratto di Franz Kafka di e con l’attore, regista, Senio Giovanni Barbaro Dattena ha avuto inizio la prima giornata.
Il piccolo attore Leonardo Diana ha interpretato il protagonista del romanzo di Alberto Capitta, La tesina di S.V. interagendo con l’autore fra le sedie sparse della sala in percorsi non ben definiti.
Il pubblico è arrivato numeroso e freneticamente ha rallentato, costretto a sedersi spesso fra le difficoltà di una postazione che ha reso diverso l’ascolto visivo della rappresentazione. Come trovarsi in un ambiente in cui il disturbo autistico rende tutto conforme ad alcune delle sue caratteristiche: la corsa dell’arrivo che si frena dinanzi il disorientamento del soggetto in uno spazio in cui ci si deve arrendere all’attesa che l’altro ci accolga, il senso inverso del percorso in cui si entra e che non spiega dove e come sedersi per l’ordine diverso della disposizione delle sedie che si danno le spalle, a volte, che si guardano, o che si dispongono in un cerchio inspiegabile. Tutto è strano, se quello che ci si aspetta è sempre la “normalità”.
Le solitudini si confondono in quest’incontro dal profumo poetico fra l’autore e il suo alter ego in un riflettersi reciproco di emozioni che portano al riconoscimento delle parti del sé.
Lo studente liceale S.V. racconta, in una tesina esposta alla classe, della ricerca di un pallone finita per caso oltre la rete di un campetto di periferia, durante una partita di calcio con gli amici. La palla fuggiasca è il titolo della performance in cui un ragazzino tiene in mano la palla che ha inseguito per la durata della storia del libro, dopo averla perduta, ma non riesce a tenerla ferma fra le mani. Il suo andare è il fluire inarrestabile della vita.
È l’incontro fortuito con il riconoscersi e il rispecchiarsi in quell’oggetto: è il suo modo di conoscere il mondo che non lo sente.
Kafka ritorna fra le parole del poeta Alberto Lecca, nella performance Lettera a Franz Kafka con l’attrice Marisa Caruso. Un capitano claudicante attracca in un porto che non c’è. Lo spazio indefinito è il suo stesso confine. Qua crede di incontrare lo scrittore praghese e lo porta con sé fra i fantasmi della letteratura, fra gli altri assenti che rimangono legati e vivi alle loro opere immortali. È un percorso fra le sedie disposte nel segnare un labirinto che non porta da nessuna parte, in cui Kellerman, questo l’alter ego del poeta, è stabile su una sedia a rotelle spinta da una figura femminile, la cui sola espressione del viso è quella della fissità fra lo sguardo che spazia senza un senso apparente. Qua incontriamo lo stupore della diversità, l’andar oltre gli schemi sociali che solo l’immaginazione dell’arte poetica può indicare. Kafka va incontro al suo interlocutore: nella sua assenza, lo accoglie e lo riconosce nonostante la distanza temporale che li divide.
Tocca a Mario Barbi, il protagonista di Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo riportare la presenza in una realtà sociale in cui le relazioni subiscono l’oltraggio del tempo, dove la fisionomia dell’altro cambia attraverso le sue reazioni all’incontro con i suoi simili. Quanto rimane della vita che ci appartiene, se il passato la trasforma in un futuro in cui non ci riconosciamo? Mario Barbi, storico di professione, è un uomo che cammina lungo la riva di un grande lago tedesco. È partito all’improvviso per piombare nella vita di alcune persone che non vedeva da tempo. Lui preferirebbe stare dall’altra parte dell’incontro, quella in cui si aspetta il primo passo dell’altro che arriva, forse, nel momento meno opportuno dopo quello giusto. È una questione di coincidenze e di sensibilità.
L’altro chi è, se non colui nel quale ci riconosciamo o da cui scappiamo per non riconoscerci?
Chiude la serata, la presentazione della rivista di cultura poetica Erbafoglio, a cura della redazione, del numero di novembre Macchine. Quali ingranaggi si celano fra gli automi del mondo in cui viviamo? Quali comportamenti si reiterano nelle nostre relazioni? Quanto, ancor, possiamo dirci umani? Ripetiamo uno schema che non prevede la diversità, se non per tollerarla.
11 dicembre
SECONDA GIORNATA - 11 DICEMBRE
Cagliari, Teatro Houdini
La sensazione di essere vivi può generare la più intensa felicità o essere oggetto di paura o infelicità. Spinoza ha dato a questa sensazione il nome di conatus: una tensione che attraversa il nostro corpo e la nostra mente, e da cui dipendono ogni virtù e ogni vizio. Tutto nasce da qui: le paure e i desideri, il fatto che si viva o si sopravviva. Emanuele Dattilo, apre così, affrontando questi temi, la 2° giornata del festival, in un teatro dove l’illusione di esserci lascia il posto alla presenza. Il suo libro La vita che vive è racchiuso in un incontro col pubblico, una lectio magistralis proprio su Paura e Desiderio.
Le sedie sono sempre sparse e riunite, a volte, da logiche che si perdono nel pensiero, e il pubblico è chiamato ancora una volta alla pazienza dell’incontro nel riempire la sala in spazi non convenzionali. Silvia Bre, sale sul palco circondata da domande che scavano nella ripetizione di una ecolalia del concetto di silenzio che riecheggia nel libro Le Campane attraverso la forte interpretazione dell’attrice Maria Loi di alcuni suoi versi. E le campane rimbalzano da lontano, come degli oggetti che si riconoscono di un’anima loro, sempre sorde agli altri rumori che diventano suoni se ascoltati, non sentiti: sono corpi. Le campane sono l’altro che si avvicina da lontano, che quando si incontrano, nelle pause, si baciano al rintocco del suono che sospeso ritorna, continuamente finché il vento non lo placa e qualcuno non torna per dargli voce. E’ musica ininterrotta, se tesa dal gesto di una mano che le tocca nelle corde immaginarie della melodia. Romina Vargiu e Marisa Caruso del Muse Teatro vagano con fare circospetto intorno alla poetessa che inquieta il suo spirito tormentato da sguardi inappropriati e fuori contesto delle due attrici che, vestite di particolari, interrogano la poesia. Le stesse circondano Ida Travi, come dei Tolki che si materializzano fra le parole che girano su se stesse.
È un mondo nuovo, questo, eppure le voci di questi “parlanti” lo attraversano avvolgendo il senso nel verso contrario della percezione: il sentire è di ognuno di noi e di ognuno di loro. La percezione dell’altro va al di là dell’ovvio, deve varcare i limiti dell’apparenza e lasciarsi stupire dallo stupore. Le immagini dei Tolki gravitano nel linguaggio che ne genera innumerevoli, dimenticandosi del già detto, del già scritto e de già udito nel tempo. È la voce della poetessa e viene dal pubblico, non dal palco, fra la gente riconosce la gente, fra questi esseri che parlano, che esistono solo nella percezione, si accompagna per andar via da una morsa autistica che ritorna.
C’è l’Arcobaleno all’orizzonte, ed è quello scritto da Donatella Bisutti interpretato da Felice Montervino, in un’intensa performance che accompagnerà l’incontro con il giornalista Massimiliano Messina di nuovo sul palco del teatro in compagnia della poetessa, in un call & response con il fondo della sala in cui l’attore recita sotto una piccola luce di scena.
Il pubblico è ormai parte di un tutto che sa di rappresentazione: si alza, cambia posto, va via, ritorna, e sta fermo cambiando la prospettiva del suo sguardo. Erano le ombre degli eroi è il libro che la Bisutti porta al festival. Nel Mito spezzato e ricomposto da molti frammenti, di profondità contraddittorie, di stravolgimenti necessari che annegano l’istante, veniamo così immersi in Tebe e Giocasta, Edipo, Tiresia, Elettra e altre Ombre, ma questo viaggio nel tempo accende la coscienza che non siamo mai partiti. Il Mito spezzato è un filo che nelle pause regge il silenzio di una tensione che ci porta ad aspettare un passato che non potrà mai più ritornare. Il tempo sembra un viaggio altalenante, dove più si rincorre l’attimo, più si rischia di non riconoscersi. Se il passato è speranza, in un futuro avrebbe senso ancorarsi alle pause. Non esiste alternativa al riciclo dell’essere umano che si assimila, che sfida il presente dimenticando il passato, affogando in se stesso il rifiuto dell’altro.
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CONTATTI
Alessandro Muroni Direttore artistico, ideatore e referente del progetto AutOutAut
Pierangelo Cappai Presidente Diversamente Odv
Roberta Fadda Referente per i processi bio-psico-sociali dell’abitare indipendente